Chiacchiere con Psy: Conversazioni di psicologia davanti a un tè

Chiacchiere con Psy: Conversazioni di psicologia davanti a un tè

Oggi, sorseggiando una tazza di tè, affrontiamo alcune domande complesse sulla natura umana, il ruolo della psicologia e il nostro rapporto con la società contemporanea. L’articolo non offre risposte definitive, ma spunti di riflessione tra scienza e filosofia.

Seduti al tavolo di una caffetteria, con due tazze di tè fumanti davanti, io e il mio amico Davide ci troviamo a parlare del mondo, un posto a volte più complesso di quanto riusciamo a capire. Stavolta, il tema è la mente, la psicologia, e come ci incastriamo (o no) in questa società.

Coppie e segnali d’allarme: quando una relazione diventa una trappola

La conversazione comincia con un argomento di attualità: il caso di Giulia Cecchettin, un simbolo tragico di come le relazioni possano trasformarsi in trappole.

Davide mi chiede preoccupato: «Ma questi comportamenti sono improvvisi o c’è sempre un segnale?»

«La risposta è complessa», dico. «Le escalation in coppia spesso passano inosservate. La paura, la vergogna e il giudizio sociale sono fattori potenti. I segnali quasi sempre ci sono, ma chi è innamorato potrebbe non vederli, per paura o speranza che le cose migliorino.»

Quando la notizia arriva sul giornale l’escalation ha raggiunto il suo culmine, ma spesso dietro c’erano numerosi segnali, parole, menzogne, gesti o piccoli episodi che potevano lasciar intravedere il seguito.

Poi, parlando di chi commette atti estremi o lesivi, il discorso scivola su un tema più universale: la capacità di provare empatia e compassione per l’altro.

Chi infligge dolore, non prova empatia per il male che fa?

Empatia: dono naturale o capacità appresa?

Empatia cognitiva ed emotiva

Davide mi interrompe: «Cos’è l’empatia? È biologica o emotiva?»

«L’empatia si divide in due componenti principali: cognitiva ed emotiva. L’empatia cognitiva è la capacità di capire ciò che l’altro prova, mentre l’empatia emotiva è la capacità di sentirlo dentro di sé» (Baron-Cohen, 2012).

«L’empatia non cresce sugli alberi», sorrido. «È il risultato di uno sviluppo emotivo sano. Inoltre, per le neuroscienze, alcune strutture biologiche come i neuroni specchio devono funzionare correttamente per provare empatia.»

Psicopatia: capire senza sentire

«Ma perché c’è chi sembra non avere proprio empatia?»

«Gli psicopatici capiscono cosa l’altro prova, ma non ne sono emotivamente coinvolti. Anzi, usano questa comprensione per manipolare o infliggere dolore. I sadici non solo percepiscono il dolore altrui ma ne traggono piacere. Quindi è come se capissero senza sentire.»

«Gli autistici, al contrario, faticano a cogliere le emozioni altrui sul piano cognitivo, ma spesso possiedono una forte empatia emotiva. Possono essere estremamente sensibili e sentirsi travolti da emozioni intense. È come se sentissero senza capire.»

La psicopatologia tra famiglia e società

La famiglia: causa o soluzione?

Davide mi guarda pensieroso: «Ma torniamo alla famiglia: davvero i genitori non si accorgono di niente? Dovrebbero essere i primi a stare vicini al figlio, a prevenire questi drammi.» Si riferisce ai genitori dei figli che commettono atti violenti.

Mi stringo nelle spalle. «A volte sì, ma spesso no. Alcuni genitori giustificano tutto per non affrontare la realtà. Pensa ai bulli: “È solo un bambino vivace, non cattivo”. Ma il bullismo non nasce dal nulla.»

Non tutti i genitori sono pronti a vedere i propri limiti. A volte giustificano perché la realtà è troppo dolorosa da affrontare o perché non hanno le risorse emotive per farlo. In altri casi, semplicemente non vogliono accettare le proprie responsabilità.

Capisco che possa sembrare assurdo, per chi è cresciuto in una famiglia sana e supportiva. Tuttavia, ci sono casi in cui la famiglia, che dovrebbe essere un luogo di protezione, è invece assente o persino parte del problema.

«Ma non è solo una questione di genitori,» continuo.

La colpa è della società?

Davide riflette: «Quindi, la società ha la sua parte di colpa?»

«Assolutamente,» rispondo. «Viviamo in un mondo competitivo, dove solitudine, modelli irraggiungibili o tossici sono all’ordine del giorno. Pensa alla pressione dei social media

Contenuti che normalizzano comportamenti tossici o alimentano ideali di forza e controllo possono influenzare negativamente i ragazzi e ispirarli a compiere comportamenti violenti.

Le dinamiche familiari, però, restano un pilastro fondamentale. Una famiglia solida e sufficientemente buona nelle prime fasi di sviluppo permette al bambino di crescere con una personalità sana e affrontare con più risorse le sfide e gli urti della vita.

Una visione bio-psico-sociale

«Ma torniamo alle cause multiple,» continuo.

Come spiega il modello bio-psico-sociale, i geni si intrecciano con le esperienze personali e il contesto sociale.

Una famiglia disfunzionale può essere un catalizzatore, ma anche la società contribuisce al disagio, creando un terreno fertile per problemi psicologici.

Le radici del male: Sviluppo traumatico e violenza

Continuando a parlare di chi infligge dolore e sembra incapace di provare empatia, Davide si chiede: «Quindi è qualcosa che impari?»

«In parte sì, si potrebbe cercare una risposta nei modelli familiari,» rispondo, «ma non solo.»

Le storie personali di chi commette crimini o atti violenti spesso rivelano traumi profondi o fallimenti nelle relazioni primarie, che portano a un “raffreddamento” emotivo.

Nel suo libro La cura delle infanzie infelici (2000), Luigi Cancrini descrive come esperienze traumatiche e relazioni disfunzionali durante l’infanzia possano contribuire allo sviluppo di disturbi di personalità in età adulta.

Spesso, dietro atti apparentemente incomprensibili, si trovano genitori freddi, distaccati o assenti. Altre volte, si tratta di genitori troppo indulgenti, incapaci di stabilire limiti, o persino violenti. È quasi sempre un mix complesso di fattori, non riconducibile a un’unica causa.

«Non voglio giustificare questi comportamenti,» continuo, «ma credo che osservarli e capirli sia fondamentale per affrontare il problema in una prospettiva più ampia e, ove possibile, intervenire per prevenirli

A tal proposito, consiglio il libro di Alice Miller La persecuzione del bambino. Le radici della violenza (1987), che analizza in chiave psicologica la storia di figure come Adolf Hitler e Jürgen Bartsch, criminale degli anni ’60.

Anche Riprendersi la vita (1998) di Miller esplora le vite di donne come Marilyn Monroe, mettendo in luce i loro traumi infantili e la loro tragica fine, attribuita al suicidio.

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Psicologia individuale e sociale

Il ruolo della psicoterapia individuale

Davide mi incalza: «Ok, ma allora la psicologia individuale serve? Come si risolvono i problemi? Sembra tutto complicato…»

«La psicoterapia individuale è essenziale, altrimenti non farei questo lavoro,» aggiungo con un sorriso un po’ ironico, un po’ compiaciuto.

La psicoterapia è fondamentale per affrontare problemi come ansia, depressione, disturbi alimentari, disturbi di personalità e molti altri disagi emotivi, ma da sola non basta. «Te lo dico proprio da psicologa,» sottolineo.

È necessario unire prevenzione, interventi scolastici e assistenza sociale a una corretta informazione culturale. Dobbiamo educare all’intelligenza emotiva fin da giovani, offrire sostegno alle famiglie e intervenire a supporto dei soggetti più fragili e a rischio, prima che diventino responsabili di crimini o atti estremi.

I problemi personali hanno radici sociali?

Mi sono convinta sempre più che molti problemi personali siano in realtà problemi sociali. Non intendo che le patologie non esistano, ma sono profondamente radicate nella nostra cultura e nella nostra epoca.

Molte persone che arrivano da me sono brillanti, ma si sentono alienate dalla società o intrappolate in dinamiche relazionali o familiari difficili.

Ad esempio una ragazza con un disturbo alimentare può avere vulnerabilità personali, ma vive in un contesto che idealizza corpi perfetti e vite irreali. Senza un intervento sociale più ampio, la terapia rischia di affrontare solo la punta dell’iceberg.

Allo stesso modo, chi soffre di ansia per la pressione sociale a raggiungere il successo può trovarsi intrappolato in dinamiche che aumentano il senso di inadeguatezza.

Davide annuisce: «Quindi serve un approccio integrato.»
«Esatto,» rispondo.

Bauman e la società liquida

La psicologia stessa non ha tutte le risposte. È necessario aprire un dialogo che coinvolga discipline come la filosofia, la sociologia e l’antropologia culturale.

Come dice Bauman, viviamo in una società liquida (2000), dove i valori e i legami sono fragili. Questa instabilità alimenta ansie e insicurezze, rendendo necessario integrare la psicologia individuale con un cambiamento collettivo.

Non possiamo limitarci al benessere del singolo: serve un profondo cambiamento sociale e culturale che promuova appartenenza, connessione e gratitudine, molti concetti centrali nelle tradizioni orientali. Solo così possiamo affrontare davvero il disagio della società contemporanea occidentale.

Ritengo necessario affrontare tutti i grandi mali della società occidentale contemporanea: l’avidità, la corsa al tempo, l’ossessione per il denaro e l’immagine. Altrimenti rischiamo di lavorare solo in superficie.

E tu, ti sei mai sentito intrappolato in un mondo che ti chiede di essere sempre all’altezza, ma che ti lascia insoddisfatto?

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Il narcisismo: una fragilità mascherata da grandiosità

Il narcisismo è solo vanità?

Davide mi guarda pensieroso: «Ma, questo cambiamento culturale che dici, dovrebbe partire dal narcisismo?», ripensando al punto da cui era partito il nostro discorso, ovvero le reazioni tossiche e la violenza di genere.

«In parte», rispondo. «Ma non pensare solo al narcisismo estetico. Il narcisismo non è solo vanità. È un fenomeno più profondo e culturale: un’ossessione per il successo, per l’apparire, per il controllo.»

La società moderna premia il narcisismo

Christopher Lasch, nel suo libro La cultura del narcisismo (1979), lo descrive chiaramente: «Viviamo in un mondo che alimenta l’Ego, ma ci lascia vuoti dentro. È come un fuoco che brucia in superficie ma non scalda davvero

La psicologia clinica distingue tra narcisismo sano e patologico. Il primo è legato all’autostima e all’ambizione, mentre il secondo è una fragilità mascherata da grandiosità.

Narciso, il personaggio mitologico, non amava sé stesso, ma l’immagine riflessa nel lago. Allo stesso modo, spiego: «Il narcisismo moderno non è amore per sé stessi, ma per una versione idealizzata e superficiale di sé, che rende difficile costruire relazioni autentiche oltre a un senso di sé stabile.»

Il paradosso del benessere

il comfort che lascia un vuoto

Davide scuote la testa. «A me sembra che viviamo in una società depressa. Abbiamo benessere ovunque, ma non riusciamo a trovare la felicità.»

Annuisco. «Esatto, è il paradosso del benessere moderno! Viktor Frankl ne parlava già decenni fa: la sofferenza più grande non è la mancanza di beni materiali, ma la mancanza di senso. Se hai tutto ma non sai perché vivi, ti senti perso.»

Viviamo in una società che ci offre ogni tipo di comfort, ma che spesso ci lascia svuotati. Come spiega Frankl in L’uomo in cerca di senso (1946), la privazione di uno scopo profondo è più devastante della mancanza di beni. Nella società del benessere, abbiamo perso il senso del nostro «perché».

L’insegnamento delle filosofie orientali: Vivere nel presente

Davide mi guarda incuriosito. «E come si fa a trovare senso e scopo?» chiede. «Mindfulness, gratitudine e tutte quelle “cose” orientali secondo te possono funzionare?»

Le filosofie orientali invitano a rallentare e vivere nel presente, contrastando l’avidità, l’ossessione per il futuro e la continua corsa al successo. Tuttavia, la società moderna spesso le usa per aumentare la produttività, perdendo di vista il loro vero scopo: renderci sereni e felici.

Il buddismo ci insegna che nel presente possiamo trovare la pace, ma spesso siamo troppo distratti per accorgercene. Ritrovare la gratitudine e vivere nel qui e ora potrebbe aiutarci a uscire da questa trappola, riscoprendo il senso che abbiamo smarrito nella società del benessere.

Diagnosi psicologiche: utili o dannose?

Davide: «Ultima domanda: le diagnosi aiutano davvero o rischiano di peggiorare le cose?», chiede. «Sono solo delle scuse per giustificarsi? Ad esempio se uno è depresso si giustifica, e così se uno è psicopatico viene giustificato, ecc.»

Le etichette diagnostiche hanno un ruolo importante: servono per comunicare tra specialisti, standardizzare i trattamenti e garantire interventi adeguati.

In psicologia, il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) è uno strumento fondamentale per classificare i disturbi, ma come ogni strumento va utilizzato con cura.

Il processo di diagnosi non è privo di rischi. Da un lato, l’iperdiagnosi rischia di patologizzare comportamenti normali, dall’altro l’ipodiagnosi può lasciare le persone senza il supporto necessario.

Infine, c’è una questione etica: le diagnosi non devono essere influenzate da interessi economici, come la disponibilità o meno di fondi e cure in strutture pubbliche o private, né devono essere alterate per fini assicurativi o legali.

La vera sfida è mantenere un equilibrio: le etichette devono servire la persona.

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Conclusione: piccoli passi verso il cambiamento

Davide appoggia la tazza vuota e sorride. «Sai cosa? Forse la soluzione è proprio questa: tornare alla lentezza, ai rapporti autentici. Come una chiacchierata davanti a un tè.»

Sorrido: «Già. Spesso una conversazione è il primo passo per cambiare qualcosa. Magari non il mondo intero, ma almeno il nostro piccolo angolo.»

Se vuoi cambiare il mondo, inizia con te stesso.

Michela Malfatti psicologa psicoterapeuta a Verona e online

Spero che il mio articolo “Chiacchiere con Psy: Conversazioni di psicologia davanti a un tè” ti abbia incuriosito e fatto riflettere.

Ti senti fuori ritmo in questa società frenetica? Soffri per relazioni tossiche, instabili o violente? Vivi emozioni difficili come ansia, stress o un senso di vuoto esistenziale? Non ignorare questi segnali: può essere il primo passo per costruire qualcosa di nuovo.

Sono Michela Malfatti, psicologa e psicoterapeuta. Offro consulenze a Verona e online, aiutando persone che si trovano a:

  • Gestire ansia e stress legati alla vita quotidiana, al lavoro o alle relazioni.
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Michela Malfatti Psicologa Verona

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Parlare è il primo passo per comprendere e cambiare.

Dott.ssa Michela Malfatti,

Psicologa Psicoterapeuta

Psicologa Psicoterapeuta a Verona e online

Dottoressa Michela Malfatti

PhD Psicologa Psicoterapeuta

Copyright © www.psicheinmovimento.it

“Chiacchiere con Psy: Conversazioni di psicologia davanti a un tè”

Testo protetto da copyright. Vietata la riproduzione anche parziale (Legge 633 del 22 Aprile 1941 e successive modifiche).

Approfondimenti

Se vuoi approfondire alcuni temi dell’articolo “Chiacchiere con Psy: Conversazioni di psicologia davanti a un tè 💬”, puoi esplorare i seguenti articoli del mio Blog:

Bibliografia

Baron-Cohen, S. (2012). La scienza del male. L’empatia e le origini della crudeltà. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Bauman, Z. (2000). Modernità liquida. Roma-Bari: Laterza.

Cancrini, L. (2000). La cura delle infanzie infelici. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Frankl, V. E. (1963). L’uomo in cerca di senso. Milano: Ares.

Lasch, C. (1979). La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni. Milano: Bompiani.

Miller, A. (1987). La persecuzione del bambino. Le radici della violenza. Torino: Bollati Boringhieri.

Miller, A. (1998). Riprendersi la vita. I traumi infantili e l’origine del male. Torino: Bollati Boringhieri.

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